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Rifiuti, un comparto industriale cancellato da due commi

Il quotidiano Il Sole 24 Ore, in data 14 luglio 2020, ha ospitato l’intervento “Rifiuti, un comparto industriale cancellato da due commi”, firmato da Giovanni Giannini, presidente Area emergenza e smaltimenti Confindustria Cisambiente, Flavio Raimondo, a.d. di Green Up e Consigliere generale Confindustria Cisambiente e Carlo Lusi, direttore commerciale Sumus Italia associato Confindustria Cisambiente:

Gli occhi puntati sui DL, Rilancio e Semplificazioni, stanno facendo perdere di vista una mossa pericolosa quanto insidiosa che rischia di spazzare via totalmente un intero comparto industriale: con solo due commi su un totale di 133 milioni di rifiuti speciali, in base alle stime circa 30 milioni di tonnellate di rifiuti speciali, come per magia, si trasformerebbero in rifiuti urbani. Come in molte estati del passato torna caldo il tema assimilazione ed infatti in questi giorni le Commissioni Ambiente di Camera e Senato stanno discutendo gli schemi di recepimento del Pacchetto Economia Circolare approvato nel 2018 dal Parlamento Europeo (Atto 169 sulle direttive 2018/851 e 2018/850 ed i famigerati commi 8 e 9 dell’articolo 1 che riguardano le modifiche agli articoli 183 e 184 del D.Lgs. 152/06). I commi 8 e 9 avrebbero dovuto solo recepire quanto previsto dall’art. 3 della Direttiva 2018/851; introducendo invece elementi nuovi lo schema in discussione stravolge sostanzialmente l’attuale sistema di classificazione dei rifiuti, assimilando i rifiuti speciali e recuperabili in rifiuti urbani, senza limiti di sorta. Se questo accadesse verrebbero meno le finalità della normativa europea e dell’economia circolare, decretando per legge la morte del settore Recupero e Riciclo. Ciò va evitato ad ogni costo, come precisa Giovanni Giannini (Direttore Generale di Sogliano Ambiente S.p.a.): “Assimilando i rifiuti prodotti dalle aziende ai rifiuti urbani, attualmente gestiti dai Comuni attraverso le municipalizzate, gli schemi normativi in discussione farebbero ricadere nello stesso circuito i rifiuti speciali recuperabili, con la conseguenza che tali rifiuti verrebbero anzitutto sottratti al sistema della tracciabilità, vi sarebbero certamente meno recupero, meno riciclo e più inefficienze. Le aziende del settore verrebbero infatti assoggettate alle regole delle grandi municipalizzate e ciò condurrebbe inesorabilmente alla loro chiusura con la conseguente perdita di migliaia di posti di lavoro. Lo scenario è gravissimo e la proposta è pertanto inaccettabile; mi confronterò al più presto con il Presidente di Confindustria Bonomi affinché possa farsi portavoce delle aziende di settore chiedendo al Governo di intervenire immediatamente rivedendo la proposta”.

Le imprese vedrebbero, inoltre, maggiorati gli oneri a loro carico per la gestione dei propri rifiuti in quanto il servizio sarebbe soggetto a tariffa e non più alle regole del mercato. Con assetto normativo dovesse essere confermato, verrebbe colpito al cuore quel settore industriale che in Italia realizza l’economia circolare, in quanto gli Enti Locali potrebbero liberamente assimilare, senza alcun limite di quantità, gli speciali agli urbani. Lo schema di recepimento proposto dal Ministero dell’Ambiente e ripreso nell’atto di governo sottoposto a parere parlamentare, non viene previsto l’inserimento di criteri quantitativi, che vengono cancellati rispetto ad una proposta del Ministero dell’Ambiente rilasciata tre anni fa: così facendo, non solo verrebbero meno i principi comunitari sulla disciplina, ma verrebbero distrutti, in un solo colpo, gli sforzi compiuti dalle imprese del recupero e riciclo che hanno consentito all’Italia di collocarsi tra i primi a livello europeo in tale settore. Preoccupazione mostrata anche da Flavio Raimondo, Amministratore Delegato della Green-Up: “Una follia normativa che di colpo farebbe sparire un intero comparto industriale composto da decine di migliaia di lavoratori perché non solo metterebbe in ginocchio l’industria italiana dall’alimentare al tessile per lo smaltimento del rifiuto nel senso stretto del termine visto che ovviamente il sistema di raccolta degli speciali è completamente diverso da quello degli urbani, ma anche rispetto alla tanto declamata economia circolare in quanto senza più un sistema impiantistico destinato al recupero della materia e alla creazione della materia prima seconda, la catena del valore non nascerebbe mai. Non capisco se l’intenzione del Governo sia quella di creare disoccupazione, danni ambientali e mettere in ginocchio il sistema industriale del Paese”.

Il recepimento del Pacchetto Economia Circolare approvato nel 2018 dal Parlamento Europeo (Atto 169 sulle direttive 2018/851 e 2018/850), che doveva e poteva semplicemente risolversi con l’approvazione di 2 commi (nello specifico l’8 ed il 9 inseriti nell’art.1 a modifica degli articoli 183 e 184 del D.Lgs. 152/06 che avrebbero dato così “cittadinanza italiana” all’art.3 della Direttiva 2018/851), rischia di trasformarsi in un boomerang per il sistema di riciclo e recupero  Made in Italy, più efficiente e virtuosi di altri in Europa.

“The Italian Way” nella conduzione dei servizi e nella creazione dei circuiti di riciclo e di riuso, tanto apprezzato in Europa e nel Mondo per inventiva, efficacia ed attenzione all’ambiente, rischia di essere depresso e squalificato in sistemi e soluzioni preconfezionate, adattabili a paesi dove le filiere sono ancora agli albori o da creare. Non convince affatto la posizione di chi vorrebbe seguire questa via per aumentare il controllo e la legalità delle filiere. Il rischio invece è proprio inverso perché, con un tratto di penna, rischiamo di cancellare aziende di recupero e riciclo che lavorano in ambito B2B con sistemi di tracciamento consolidati, e lasciare aziende produttrici di beni “orfane” di partner che valorizzavano gli scarti delle loro lavorazioni e che vedrebbero d’un tratto lievitare la propria bolletta dei rifiuti e i costi dei sistemi di gestione e stoccaggio degli stessi., senza parlare degli eventuali rischi penali in capo ai legali rappresentanti delle stesse. Dopo il Lockdown e con il periodo di lunga incertezza che stiamo attraversando, le stazioni appaltanti non si sono mai fermate dal pubblicare gare in cui le richieste, e ancor peggio le basi d’asta, rispondono alle esigenze delle aziende private che cercano di rimettere insieme i pezzi delle proprie filiere di raccolta, selezione, riciclo e recupero.

“I numeri che coinvolgono la questione sono enormi – dichiara Carlo Lusi Direttore Commerciale della Sumus Italia – se pensiamo solo allo sfrido e scarto dell’industria della carta e cartotecnica ( codice ATECO 17), rischiamo di “annacquare” 1,2 milioni di tonnellate di rifiuti speciali di pregio  (delle 30 in generale interessate da questo provvedimento nelle quali rientrano anche, ad esempio tutti gli imballaggi della componentistica del settore manifatturiero, della Grande Distribuzione Organizzata, dell’industria alimentare e così via) che costituiscono linfa vitale per le nostre esigenze produttive e di filiera. Le nostre materie prime seconde! Deputate a cambiare circuito e a confluire nelle responsabilità di aziende private di raccolta, socie di Confindustria Cisambiente, che però non avrebbero alcun giovamento concreto nella gestione delle stesse, anche perché il loro cliente sarebbe sempre e comunque la Pubblica Amministrazione (PA), nei confronti della quale aumenterebbe ancor di più l’esposizione finanziaria in un momento in cui il sistema non ha liquidità a causa del blocco delle TARI”

L’assimilazione incontrollata, dunque, ci riporterebbe indietro di anni e vanificherebbe anche gli sforzi delle Pubbliche Amministrazioni, che sono passate a tariffa puntuale in chiave di promozione della riduzione della produzione dei rifiuti, e del principio Europeo del “Pay As You Throw”. Prosegue Lusi “Sono noti i casi di catene della Grande Diostribuzione che stipulano accordi con ditte specializzate, socie di Confindustria Cisambiente, che ritirano gli imballaggi in cartone valorizzandoli economicamente, li selezionano e li rivendono a cartiere per le ricette delle nuove carte. Sarebbe impossibile per l’industria del macero reperire sul mercato carta riciclata con costanti caratteristiche tecniche, laddove i maceri provenienti da sfridi di lavorazione o avviamenti di macchina, di industrie del settore cartotecnico, verrebbero mischiati con il macero di imballaggio provenienti dalle raccolte domestiche, gestite oggi dalle instancabili società di raccolta del rifiuto “urbano” associate a Confindustria Cisambiente. Questo macero, purtroppo, risulta meno fibroso e più inquinato da altre frazioni estranee, e i Comuni stessi non sarebbero per questo in grado di ricevere il giusto valore dalle frazioni mischiate, determinando soltanto un aumento dei costi delle stesse Tari delle aziende che devono gestire gli sfridi e, contemporaneamente, cancellando il circuito dell’intermediazione e selezione del macero di valore. Lo stesso possiamo per le altre frazioni: un abbassamento della professionalizzazione delle filiere e il serio pericolo di inquinamento dei diversi circuiti di raccolta selettiva, potrebbero diventare fertile terreno per faccendieri e criminalità organizzata”.

 

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