SVolta.net ospita sulle sue pagine l’intervento del Prof. Avv. Lorenzo Cuocolo, Professore nell’Università Bocconi, Avvocato amministrativista, titolare Studio Cuocolo (GE-MI), che fa il punto – assieme all’avv. Stefano Cavassa, su alcune tematiche di attualità per il mondo dell’impresa.
È recentissima l’entrata in vigore (13 giugno) del Decreto del Ministero dell’Ambiente n. 56/2018 con cui viene introdotta la certificazione dell’impronta ambientale dei prodotti Made in Italy.
Tale provvedimento, in preparazione da più di tre anni, mira a valorizzare forme di economia circolare e, più in generale, incentivare comportamenti virtuosi rispetto all’impatto sull’ambiente di tutto il ciclo di vita del prodotto (estrazione delle materie prime, produzione, utilizzo e gestione del fine-vita).
Ai sensi di tale decreto, relativamente ad un prodotto avente già l’indicazione “Made in Italy”, le aziende potranno ottenere dal Ministero dell’Ambiente una certificazione, denominata “Made Green in Italy”, che attesti l’utilizzo di materiali e processi a ridotto impatto ambientale. Tale certificazione, che dà diritto all’utilizzo del logo riportato accanto, ha durata triennale ed è rinnovabile.
Secondo un meccanismo simile a quello già utilizzato per le certificazioni in materia di sicurezza, il provvedimento mira a valorizzare la ricerca e l’uso di tecnologie non impattanti. Nello specifico, il decreto mira a promuovere la rimodulazione dei cicli di lavorazione da parte delle aziende.
Per ciascuna categoria di prodotto saranno quindi definite delle specifiche best practices (RCP) emanate direttamente dal Ministero su istanza di almeno tre aziende interessate (tra cui almeno una PMI) che rappresentino la quota maggioritaria del settore per il quale viene fatta richiesta (cfr. art. 3 del Decreto).
Il principio alla base della certificazione è semplice: per ogni tipologia di prodotto sono individuati i tre fattori che incidono maggiormente sull’impatto ambientale del prodotto e, sulla base di questi, viene determinato un valore numerico di riferimento (benchmark).
Tale dato viene quindi confrontato con i punteggi ottenuti dagli operatori richiedenti, come risultanti dallo “Studio di Valutazione dell’Impronta Ambientale”, predisposto dall’azienda richiedente ed allegato all’istanza di certificazione (cfr. Allegato II del Decreto).
A seconda del risultato ottenuto, il sistema distingue tre categorie: A (superiore al benchmark), B (allineata al benchmark) e C (inferiore al benchmark). La documentazione fornita viene quindi sottoposta alla verifica e all’eventuale convalida di un soggetto indipendente e accreditato direttamente dal Ministero (cfr. art. 6 del Decreto).
Come detto, l’obiettivo fondamentale del DM è quello di premiare gli operatori economici che abbiano investito o intendano investire sulla riduzione dell’impatto ambientale della propria catena produttiva.
A tal fine, oltre all’uso del logo “Made Green in Italy”, il DM attribuisce alle imprese che ottengono il certificato ulteriori vantaggi in caso di partecipazione a gare pubbliche.
In particolare, ai sensi dell’art. 8 del Decreto, la certificazione in esame è da sola idonea ad attestare il rispetto delle specifiche tecniche riguardanti il ciclo di vita del prodotto, richieste dai Criteri Ambientali Minimi (CAM) ai fini della partecipazione a determinate procedure di appalti pubblici ai sensi degli art. 34 e 87 del Codice dei Contratti Pubblici.
Inoltre, nell’ottica di stimolare la progettualità degli operatori in una prospettiva di medio-lungo termine, il DM prescrive, quale requisito indispensabile per l’ottenimento della certificazione, la redazione di un programma di miglioramento triennale, che preveda obiettivi di miglioramento “finalizzati a ridurre l’impatto delle fasi o attività del ciclo di vita dei prodotti”.
In conclusione, appare sicuramente meritevole l’iniziativa del Governo che, mediante questo provvedimento, mira a raggiungere due risultati strategici: rendere l’Italia il primo Paese dell’UE ad applicare il nuovo metodo di misurazione dell’impatto ambientale dei prodotti proposto dalla Commissione Europea, e dare ulteriore slancio competitivo alle aziende dei settori chiave del made in Italy (su tutte, moda, arredamento ed alimentare).
Resta soltanto da sperare che l’apparente complessità del procedimento da seguire non disincentivi la partecipazione delle imprese, soprattutto delle PMI.
Prof. Avv. Lorenzo Cuocolo
Avv. Stefano Cavassa