La città di Savona è capofila del progetto biennale Italia Francia Marittimo per la valorizzazione degli agrumi dell’alto Mediterraneo dal titolo Un mare di Agrumi, che si concluderà a Savona nelle giornate tra il 21 e il 24 febbraio, con ospiti provenienti dai territori del progetto (Corsica, Sardegna, Toscana, Liguria). Per questa occasione sono previste alcune iniziative istituzionali alla Fortezza del Priamar: convegni, seminari, inaugurazione del Living Lab “Giardino permanente degli agrumi”. Studiowiki si sta occupando dell’organizzazione e della comunicazione di questi eventi. In particolare, nel pomeriggio di venerdì 22 febbraio siamo stati chiamati a organizzare una tavola rotonda. L’abbiamo chiamata “Le parole della biodiversità. La scuola, l’Università, il mercato”.
Parteciperanno Slow Food e Ligucibario (Umberto Curti) che ci racconteranno le azioni intraprese negli ultimi anni per innescare il cambio di paradigma culturale sui temi di sostenibilità e biodiversità. Vedremo poi questo cambio di paradigma all’opera in tre contesti differenti:
– Nella scuola primaria, con un caso di studio nato da un progetto del CeRSAA Albenga (struttura della Camera di Commercio Riviere di Liguria) con un istituto comprensivo di Celle Ligure.
– Con Università degli studi di Genova, con il caso di studio della nascita al polo di Savona del corso di laurea magistrale in Valorizzazione dei Territori e Turismi Sostenibili, che unisce quindi le parole della geografia e della biologia, biodiversità e sostenibilità, con quelle del marketing della destinazione, preparando figure professionali capaci di operare sui nuovi scenari che da quel cambio di paradigma sono stati determinati.
– Per quanto riguarda il mercato abbiamo pensato di coinvolgere Fondazione Garrone con i casi di studio relativi alla nascita di imprese nei territori delle “terre alte”.
Ecco alcuni temi che verranno approfonditi durante la tavola rotonda. Molti e differenti possono essere gli strumenti e le azioni con i quali si decide di promuovere e poi commercializzare una destinazione, più o meno turistica essa sia.
Il marketing territoriale può sfruttare differenti elementi tra le molte caratteristiche differenzianti che un territorio, una località, hanno nei confronti delle altre località e degli altri territori, ovvero, in ultima analisi, dei loro competitori più o meno diretti. E lo può fare con una specifica attenzione all’attrazione dei flussi di domanda turistica, o meglio delle svariate domande di turismi del mercato incoming.
Quindi, preliminare, intanto, è una scelta, cioè una strategia, che dovrà essere quanto più possibile unica e originale rispetto al quadro dell’offerta che si trova in quel momento sul mercato ad affrontare. Chiarire e chiarirsi, come governance, tutta pubblica e/o pubblico-privata che sia, i quesiti relativi alla propria identità di territorio, è passo iniziale – forse difficile, ma indispensabile – da compiere per costruire un posizionamento di successo, con il problema di capire poi cosa questo – a valle – effettivamente significhi. Che tipo di successo? Quello di una destinazione che per sovraccarico di flussi perde progressivamente la sua “verità”, museificandosi ad uso e consumo dei turisti, o quello di uno sviluppo dolce e sostenibile del territorio, che sappia coniugare la qualità della vita degli abitanti con una fruizione turistica anche organizzata per numeri importanti?
Certamente, il problema di questa scelta andrà affrontato per gradi, senza fretta e senza ansie. Partendo da una serena analisi della situazione data. Se il prodotto turistico non è altro che la sommatoria (per nulla meramente algebrica) di più elementi (l’hardware: ricettività, gastronomia, servizi, territorio, paesaggio, trasporti, accessibilità; software: ospitalità, storia materiale, tradizioni e culture, offerta di experience etc…) che intrattengono tra loro relazioni fattive di “nuovo” senso; se gli elementi dell’offerta sono i singoli significanti di una sintassi territoriale articolata e in relazione reciproca che genera un significato ulteriore, si dovrà allora conoscere molto bene questi elementi per poter articolare un discorso che possa farsi anche racconto, cioè trasmissione di qualcosa che è oltre al solo “dove” e “che cosa” ma è emozione del “come”, “perché” e “chi”.
La voglia, cioè il desiderio, del turista di conoscere direttamente sarà una conseguenza di questa emozione trasmessa e promessa dalla destinazione. Per evitare, poi, di disattendere questa promessa – tradendo il patto – si dovrà essere quanto più possibili aderenti a una “verità” del territorio (che non è “la” verità del territorio, perché – quest’ultima – non esiste). Anche in questo caso non cercando di dire di più o di meno, oltre ciò che si è, e si sa di essere “per davvero”.
Ricapitolando: un’analisi del territorio (prima), per poter (poi) determinare un racconto e una strategia di promozione che denuncino un posizionamento quanto più possibile “veritiero” sul mercato.
La dialettica tra governance ed elementi dell’offerta, cioè le relazioni con le comunità locali che si tende a voler animare; l’organizzazione e la strutturazione del prodotto; il marketing; la promozione e la commercializzazione – sia sul mercato intermediato di tour operator e agenzie di viaggio, sia sui canali diretti come il web con i suoi portali di destination management -; fino alle informazioni e all’accoglienza rivolte ai turisti sono compiti che oggi, in larga parte, vengono attribuiti dalle località alle D.M.C, acronimo che sta per destination management company. Società spesso a totale controllo o compartecipazione degli Enti pubblici che, attraverso personale e risorse proprie, gestiscono l’intera industria della filiera turistica di una specifica località.
Quanto sino a qui descritto pare essere l’approccio che oggi si sta affermando. Tuttavia, questo approccio che guarda con sempre più avvertita attenzione, per fortuna, agli aspetti della sostenibilità nello sviluppo turistico dei territori, sostenibilità intesa come unica strada possibile non solo “etica” ma anche propriamente vincente dal punto di vista strettamente commerciale, è il risultato di un cambio epocale di paradigma sociologico.
Negli ultimi venti anni abbiamo assistito, grazie all’ecologia che ha iniziato ad affermarsi negli anni Settanta del secolo scorso, a un ribaltamento dell’orizzonte ideale. La tutela e la salvaguardia dell’ecosistema, già di per sé stesso gravemente e forse irreparabilmente danneggiato da cinquecento anni di civiltà mercantile e duecento di quella industriale, sono diventate, se non per tutti, per larga parte della popolazione, una priorità che incide direttamente sulle loro scelte di consumo, anche quello turistico. Perché dovrebbe essere altrimenti? Un cambio di paradigma è un cambio di senso comune (del comune e collettivo sentire, operante con gradienti diversi sulle singolarità individuali) e viene generato sempre da parole che a un certo momento compaiono sulla scena della storia sociale dei parlanti di un determinato luogo, in un determinato momento, di un determinato ceto sociale.
Non siamo qui ad analizzare come questo si possa verificare. Ci interessa, semmai, molto più umilmente, capire da quando, come e attraverso chi, la parola “biodiversità”, o meglio, tutto il sistema semantico da essa scaturente, abbia iniziato a modificare il percepito di sempre più ampi strati della popolazione di consumatori.
Lo proveremo a fare con l’aiuto di Slow Food, e prendendo a prestito alcuni ambienti test: la scuola primaria, l’università e – certamente – il mercato. Come si comunica la biodiversità e la sua importanza (non solo per il successo di una destinazione turistica) a scuola? Vedremo un esempio portato da Giovanni Minuto del CeRSAA. Come si studia la biodiversità e la sua importanza (anche per il successo di una destinazione turistica) all’Università? Lo vedremo con il nuovo corso di laurea magistrale del Campus di Savona in Valorizzazione dei Territori e Turismi Sostenibili. Come si produce valore con la biodiversità e la sua importanza (soprattutto per il successo di una destinazione turistica) sul mercato? Lo vedremo, insieme alla Camera di Commercio Riviere di Liguria, con i progetti della Fondazione Edoardo Garrone rivolti alle “terre alte”, RestartAlp, RestartApp. Ci aiuterà in tutto questo Umberto Curti, Ligucibario, che presenterà anche il suo ultimo lavoro, il Libro bianco del turismo esperienziale e food&craft, prospettive (in Liguria) per territori, cultura, imprese.