L’Italia tra scenari economici e forza dell’industria. È questo il titolo della relazione tenuta da Luca Paolazzi, Direttore del Centro Studi di Confindustria, nel corso della cerimonia per i 70 anni dalla fondazione dell’Unione degli Industriali della Provincia di Savona, giovedì 16 luglio all’interno della Fortezza del Priamar.
Un lungo e approfondito intervento nel quale Paolazzi, partendo dalla situazione del dicembre 2013, nella quale autorevoli testate quali il Wall Street Journal si chiedevano se l’Italia fosse alle prese con “la stabilità del cimitero”, è giunto fino alla realtà dei giorni nostri, con il medesimo giornale che parla di “fragile ritorno” dell’economia del nostro Paese. Uno scenario sicuramente migliore, con buone prospettive, ma anche con alcuni, necessari asterischi, ha spiegato l’esperto di Confindustria.
“La risalita è iniziata, ma sarà lunga e difficile”, ha affermato. “Perciò, la parola ‘ripresa’ è inappropriata, anche politicamente: è da evitare. Il 2015 è partito bene e ci sono ulteriori positive indicazioni”.
Tra queste, dati alla mano, un PIL in lento recupero, l’occupazione che sta risalendo, le vendite di auto che sono ripartite.
“Il Centro Studi Confindustria rivede all’insù le previsioni”, ha aggiunto Paolazzi, facendo il punto sullo scenario internazionale.
Nel quale però, ha specificato, non sono incorporati due fattori di rischio: il più debole trend globale e il contagio greco. Su quest’ultimo punto, ha chiarito che potrebbe avere impatto contenuto, poiché
“il difficile accordo, che ora è alla prova dei fatti e che tutti ci auguriamo funzioni, non scongiura l’ipotesi Grexit, di uscita dello stato dall’euro. Le probabilità di uscita dalla moneta unica sono state riviste al rialzo – UBS 70%, dal 40% prima del referendum; City a oltre il 50%. Ma la vera motivazione poiché il contagio resterà basso è perché non siamo più nel 2010”, ricordando i tanti cambiamenti istituzionali.
Tra questi il funzionamento dell’European Stability Mechanism (ESM), il varo dell’Unione bancaria europea (seppur imperfetta), il rafforzamento dei bilanci delle banche europee, l’introduzione della flessibilità nei percorsi di risanamento dei conti pubblici, il dispiegamento da parte della BCE di un ampio arsenale di interventi (tra cui il QE) con potenza di fuoco illimitata, e la riduzione dell’esposizione verso la Grecia dei privati.
“Il danno maggiore della Grecia è stato il cambio di narrazione della crisi”, ha evidenziato Paolazzi. “Siamo soddisfatti?”, ha chiesto l’esperto dopo aver enumerato le previsioni CSC sull’Italia. “No. Perché la performance non è quella che ci sarebbe stata in altri tempi, di fronte a così forti stimoli esterni”.
La situazione attuale vede forti venti sono a favore: il prezzo del petrolio più basso, la svalutazione dell’euro, il commercio mondiale in rilancio, il nuovo calo dei tassi di interesse. Fattori favorevoli che hanno un impatto sul PIL italiano. Condizioni propizie che, stando alla relazione, rimarranno ancora grazie: all’ampio eccesso di offerta del petrolio, che limiterà il recupero del prezzo; la prospettica divaricazione nei tassi di interesse USA, che continuerà a sostenere il dollaro; la BCE che, acquistando titoli, terrà basso il costo del denaro nell’Eurozona.
“Sono inoltre possibili ritardi temporali e sorprese positive”, ha ricordato, in primis gli ordini interni in rimonta. “Ci sono tuttavia ragioni di fondo e freni straordinari che si sommano, nel ridurre la reattività, alle difficoltà esistenti prima della crisi. Tra le prime, tassi e cambio bassi sono ‘estremi rimedi a mali estremi’, l’inflazione rimane vicina a zero, la politica di bilancio resta restrittiva, e la crisi ha diminuito il già limitato potenziale di crescita del Paese”.
Tra i freni straordinari, invece, Paolazzi ha menzionato fattori come “estrema selettività del credito” che blocca i prestiti, “disoccupazione alta e strutturale”, “costruzioni deboli” con prezzi e investimenti delle case che vanno in giù, “redditività ai minimi” del manifatturiero, “CLUP penalizzante” e fuori linea, “capacità produttiva inutilizzata” con scarso utilizzo degli impianti e “risparmio ridotto” per le famiglie. Per recuperare il terreno perso, dunque, è necessario “rimuovere gli ostacoli e attuare le riforme, in modo da tornare a crescere al 2,5%”.
Le leve su cui agire: conoscenza; concorrenza; burocrazia, lavoro. Il Direttore del Centro Studi di Confindustria non lascia spazio a dubbi:
“Se non faremo nulla, torneremo ai livelli del 2007 nel 2023. Se agiremo, riagguanteremo il trend pre-crisi nel 2037. Non ci si può, perciò, fermare neanche un attimo per compiacersi dei segnali di recupero, per quanto chiari”.
Per questo, la soluzione non può che essere una sola: ripartire dall’industria, motore della crescita.
“L’Italia può contare su un forte manifatturiero come motore della crescita. Siamo la settima potenza industriale al Mondo, la seconda in Europa. Lo dimostra anche il miglioramento nella classifica del Trade Performance Index. L’Italia è un brand mondiale, il maggiore brand mondiale che ci sia. Non a caso, l’Italian sounding prospera e la contraffazione è un pericoloso nemico. C’è grande domanda di Italia nel Mondo. La bellezza e la maestria tecnica sono i due grandi asset che ci vengono riconosciuti. Se non continuerà la disgregazione europea legata a sbagliate politiche macroeconomiche, l’industria italiana proseguirà nella trasformazione silenziosa iniziata già venti anni fa e rimarrà un potente motore per la crescita. Certo, devono cambiare anche le condizioni di contesto. Se cambiano queste, non abbiamo rivali”, ha concluso Luca Paolazzi.