SVolta.net ospita, una volta al mese, l’intervento eel Prof. Avv. Lorenzo Cuocolo, Professore nell’Università Bocconi, Avvocato amministrativista, titolare Studio Cuocolo (GE-MI), che farà il punto su alcune tematiche di attualità per il mondo dell’impresa.
Il Tar Brescia con sentenza 497 del 2015, depositata l’8 aprile 2015, si è pronunciato su una vicenda particolare in materia di diritto di accesso ai contratti stipulati secondo le ordinarie regole del diritto civile, “iure privatorum”, fra le pubbliche amministrazioni e i privati.
Un ente pubblico non economico, Automobile Club Brescia, con finalità pubblicistiche di promozione e sviluppo dell’automobilismo italiano, aveva concluso con alcune aziende un contratto avente come oggetto la concessione d’uso del noto marchio “Freccia Rossa – Mille miglia”. Successivamente una decisione della Commissione per l’accesso agli atti amministrativi riconosceva la sussistenza del diritto di accesso in capo ad un associato dell’ente pubblico non economico. Il contraente privato proponeva dunque ricorso per l’annullamento di questa decisione e per l’accertamento dell’inesistenza del diritto di accesso in capo al socio, affermando che mancassero i presupposti per l’accesso e che fosse stato violato il diritto alla riservatezza tutelato dall’art. 24 c. 6 lett. d) della l. 241 del 1990, che sottrae all’accesso i documenti riguardanti la vita privata e la riservatezza tanto delle persone fisiche quanto delle imprese.
Il collegio ha chiarito che“la nozione di documento amministrativo comprende anche gli atti negoziali, e le stesse dichiarazioni unilaterali dei privati, quando ne sia stata fatta acquisizione in un procedimento amministrativo per una finalità di rilievo pubblicistico”. L’art. 22, così come modificato dalla l. 15/2005,alla lett. d) prevede, infatti, che sia irrilevante il regime giuridico cui sia assoggettata l’attività in relazione alla quale l’istanza di accesso è formulata: ciò che rileva è che i documenti siano “concernenti attività di pubblico interesse,indipendentemente dalla natura pubblicistica o privatistica della loro disciplina sostanziale”.
In questo caso specifico il contratto, dato il suo contenuto specifico di cessione d’uso di un marchio tanto famoso nel mondo dell’automobilismo, si collegava alle finalità istituzionali di Automobile Club Brescia e la massima importanza all’interno della gestione amministrativa e finanziaria di tale ente. Proprio per questo il giudice ha ritenuto che i soci avessero un interesse qualificato a conoscerne il contenuto: per esercitare la funzione di controllo sull’operato degli organi direttivi ed esprimere in assemblea un giudizio informato sui risultati della gestione è, senza dubbio, necessaria la conoscenza di un documento del genere.
Allo stesso tempo il collegio considera e valorizza l’interesse alla riservatezza del ricorrente, accogliendo in parte il ricorso. Infatti se l’accesso ai documenti ha un ruolo importante nel nostro ordinamento, in quanto strumento capace di garantire gli interessi dei soggetti titolari di situazioni giuridiche incise dall’azione amministrativa, suo contraltare necessario è rappresentato dalla tutela della riservatezza dei soggetti coinvolti, da intendersi, in questo caso, come riservatezza commerciale o industriale, cioè quel complesso di conoscenze che costituiscono il segreto d’impresa (il cd. knowhow), di cui si deve tenere conto.
Il giudice, a riguardo,ha puntualizzato che il diritto di riservatezza non può derivare da una clausola di riservatezza inserita nel contratto, come sostenuto dal ricorrente, in quanto le parti che sottoscrivono l’accordo non possono disporre dei diritti di terzi. In definitiva, il principio legislativo di trasparenza dei documenti amministrativi non può essere sostituito con il principio di segretezza su base negoziale.
In linea di principio, continua,il diritto alla riservatezza sembra ipotizzabile solo in relazione a sue singole componenti e comunque non può investire l’intero contenuto negoziale: prevale l’interesse della p.a. di dimostrare il buon uso delle risorse pubbliche e chi esercita il controllo deve essere in grado di conoscere esattamente “non solo la struttura e le finalità dell’accordo ma anche i dettagli che hanno rilievo economico o comunque interessano la gestione di un bene pubblico”, cioè le clausole contenti gli obblighi ed i diritti reciproci dei contraenti, salvo che una norma di legge preveda espressamente il segreto.
Di conseguenza, conclude il giudice, la tutela della riservatezza rimane ai dati che i privati forniscono alla p.a. “sulla propria organizzazione interna, sulle relazioni con parti terze, sulle proprie strategie commerciali, purché tali informazioni non siano state utilizzate nell’accordo per pesare la controprestazione del soggetto pubblico”.
Per determinare in concreto quali clausole del contratto rientrino fra quelle che devono essere coperte da riservatezza il giudice ritiene che sia necessario il coinvolgimento della ricorrente con successiva verifica da parte del soggetto pubblico che custodisce il documento, seguendo una serie di regole di condotta individuate dallo stesso giudice nel dispositivo della sentenza: la soluzione proposta dal TAR in questo particolare caso pare essere idonea a garantire, in sostanza e non solo in maniera formale, la privacy delle imprese che contraggono con la p.a.