“Il rischio non visto come un nemico, ma come un indicatore del fatto che si sta lavorando per raggiungere un obiettivo, un’idea o, meglio, un sogno: è questa la cosa che, al momento, mi affascina di più dell’America”. A parlare è Luca Scacchi Ginatta, 30enne originario di Garlenda, attualmente di stanza a Chicago, nell’Illinois, dove risiede e svolge attività di consulenza e revisione su clienti internazionali e locali per la società di servizi professionali e contabili Ernst & Young. Un salto di circa settemila e trecento chilometri, che lo ha portato a operare in diverse città Usa, con un portafoglio clienti che comprende società quotate americane, italiane, francesi e giapponesi, pubbliche e private, in settori quali automotive, advertisement e media, information technology. Una svolta, accompagnata da un po’ di nostalgia per il mare della Liguria.
“L’occasione è nata a inizio 2011”, spiega Scacchi Ginatta. “Adoro viaggiare, da sempre, confrontarmi con realtà nuove, conoscere gente nuova, scoprire luoghi e usanze nuove. Insomma, adoro conoscere tutto ciò che è nuovo e diverso da me e dal mio modo di affrontare la vita, sono molto curioso ed estremamente contento di esserlo – è una caratteristica importante, che tutti noi abbiamo, e sta a noi svilupparla e farla diventare importante per noi stessi”, prosegue. “Ho iniziato a lavorare per la mia società nel 2009. Sapendo che è presente in tutto il mondo, con programmi di rotation in altri uffici all’estero, mi sono subito reso disponibile a partecipare”.
Quindi, il biglietto di sola andata per gli USA.
“Nel 2011 lavoravo a Torino, e mi è stata comunicata la possibilità di una rotation a Chicago. Avendo già avuto modo di vivere in America – a St. Louis come scambio giovanile di un anno durante il quarto anno di liceo – ho accettato subito la proposta. Il 13 novembre 2011 sono così sbarcato a Chicago con due valigie enormi e una città altrettanto enorme, tutta da scoprire: un sogno, che ho deciso di prolungare”, afferma ancora.
Dopo circa tre anni oltreoceano, si sente un po’ di nostalgia della riviera?
“Honestly? Tanto”, ammette Luca. “Ma anche questo fa parte dell’esperienza e del concetto di ‘viaggiare’, più in generale. Ciò che mi manca maggiormente sono famiglia, amici e mare. Mi manca mia madre, Silvia, vera forza della natura che mi ha sempre sostenuto in tutto e per tutto; mio padre, Giuseppe, persona speciale e con un cuore enorme, e i miei due fratelli spettacolari. Mancano tutti gli amici, anche se riesco parzialmente a sopperire alla distanza grazie ai progressi tecnologici degli ultimi anni, come Skype, FaceTime, etc: quando ero a St. Louis, la storia era completamente diversa. Avevo un cellulare, minuti di traffico telefonico al mese, e nulla più. Infine, il lago Michigan purtroppo non è un’alternativa ideale al Mar Ligure. È bello, soprattutto enorme, con spiagge davvero carine. Perché l’energia che ti trasmette il nostro mare è unica”.
A dispetto delle aspettative, l’impatto non è stato traumatico.
“È stato facile, davvero. A parte il primo mese, decisamente intenso, con primi step burocratici per i documenti americani, trovare un appartamento in cui vivere, acquistare i mobili, attivare le utenze necessarie come elettricità, gas, internet, ottenere la patente dell’Illinois, trovare una macchina, aprire un conto in banca e sottoscrivere un abbonamento telefonico, oltre naturalmente a lavorare. L’unica cosa a cui non mi sono ancora abituato e a cui non mi abituerò mai è il freddo polare che abbraccia Chicago per circa 4 mesi l’anno: fin quando non lo vivi, non puoi capire. La città si trasforma completamente: vedere il grande lago ghiacciarsi è un’emozione davvero unica, le persone che normalmente popolano le strade prendono passaggi sotterranei che collegano i palazzi di downtown per evitare il gelo. Ma decidendo di vedere sempre il bicchiere sempre mezzo pieno, è questo tipo di inverno che rende l’estate a Chicago fantastica, con un sacco di iniziative, festival, concerti, locali all’aperto. La città esce dal letargo, letteralmente”
Sono molte, le differenze rispetto al paese d’origine.
“Innanzitutto il gallone, unità di misura che riguarda non solo la benzina, ma anche molte altre cose: latte, succhi di frutta, spremute, etc.; il mezzo litro di latte è il famoso ago nel pagliaio. Le unità di misura USA sono in generale più grandi delle nostre. Inoltre a Chicago, ma, più in generale in tutte le metropoli e nella maggior parte degli Stati americani situati sulle due coste, trovo ci sia una miglior accettazione dei diversi stili di vita e un maggior rispetto per le idee altrui. Noi italiani abbiamo bisogno di conoscere più a fondo qualcuno o qualcosa prima di accettarlo/a e, spesso, ci limitiamo a giudicare in modo del tutto superficiale e a nutrirci dei nostri preconcetti”.
Una differenza di approccio che, secondo Scacchi Ginatta, si riflette anche nel fare impresa.
“Anche dal punto di vista imprenditoriale, abbiamo bisogno di avere tutto sotto controllo e di avere un business plan perfetto, prima di provare a realizzare quello che abbiamo pianificato. Questa cosa ci viene insegnata anche all’Università: ‘Se tutto non quadra in modo perfetto, allora vuol dire che non ne vale la pena’. Invece, avendo avuto il piacere di incontrare diversi imprenditori di successo, ultimo dei quali Barry Nalebuff, co-fondatore di Honest Tea – del quale consiglio vivamente di leggere la storia – capisci proprio che le caratteristiche principali che li accomunano sono l’alta propensione al rischio, la capacità di vedere le risposte del mercato una volta iniziata l’attività e di adattarsi prontamente”, sottolinea. “Sono convinto che qui le persone, soprattutto i giovani, siano lasciate più libere di gestire la propria vita come meglio credano. Mi rendo conto che questa sia una generalizzazione e che, come tale, non sia del tutto accurata e presenti svariati esempi che provino il contrario. Ma questa è anche una sensazione che mi sono fatto viaggiando in lungo e in largo gli States per più di tre anni: trovo che qui le persone abbiano più possibilità di esprimere se stesse, vivere in funzione dei propri obiettivi, professionali e non. Questa cultura ha permesso a molte persone, da artisti a semplici individui con un’idea brillante di business, di diventare ‘qualcuno’. È questo che ha permesso all’America di avere esempi di personalità, oggi famose, che sono però partite lavorando sulle loro idee, sui loro progetti, sui loro sogni nei loro rispettivi garage o nel loro salotto. La maggior propensione al rischio potrebbe derivare dal fatto che qua ci siano maggiori possibilità, certo, ma non credo sia uno dei fattori principali. Sono convinto che la differenza principale sia culturale: il rischio non visto come un nemico, ma come un indicatore del fatto che si sta lavorando per raggiungere un obiettivo, un’idea o, meglio, un sogno. Ed è questa la cosa che, al momento, mi affascina di più dell’America”.
Per Luca, scegliere di lavorare all’estero non significa “abbandonare” l’Italia. Anzi.
“I giovani non la abbandonano, mai. L’Italia e l’essere Italiani sono un concetto che va ben oltre i semplici confini territoriali. Io ‘vivo’ il mio paese quando preparo un piatto di pasta come ho imparato da piccolo guardando mia madre, per esempio. Queste persone decidono semplicemente di vivere un’esperienza diversa. Non credo che il driver principale di queste persone sia il lavoro: queste persone cercano loro stesse viaggiando. Parlando di prospettive, un giovane ligure potrebbe trovare in Chicago una città davvero accogliente e piena di opportunità. Poi, tutto dipende dalle occasioni e dagli individui. Un mio caro amico mi ha recentemente insegnato un concetto davvero importante: ognuno di noi, durante la propria vita, si trova di fronte a situazioni fortunate, ma non tutti riescono a rendersene conto. La fortuna è utile solo quando si è pronti ad accoglierla”.
E in tema di sorte, per il prossimo futuro, Luca Scacchi Ginatta non esclude il rientro a casa.
“Sì, credo di tornare. Anche io mi muovo in funzione dei miei sogni. E, in questo momento, risiedono in Italia”.
(Cr.Bo.)