Pandemia, stato di salute del mondo dell’impresa in provincia di Savona, prospettive per il futuro. Un’intervista a tutto campo con Enrico Bertossi, presidente dell’Unione degli Industriali della Provincia di Savona.
Da presidente ha vissuto un doppio mandato ricco di difficoltà esterne e cambiamenti. Che Unione consegnerà al suo successore in conclusione del prossimo quadrimestre?
“Una macchina perfettamente funzionante dal bilancio sano. Gli eventi dell’ultimo anno, poi, hanno confermato il servizio impeccabile fornito agli iscritti, talvolta, al di sopra delle aspettative”.
Una particolare soddisfazione e delusione in questi anni?
“Rientrano nella parte positiva questi riscontri con l’impegno generale ad aver proseguito gli appuntamenti legati alla formazione e alla scuola come Fabbriche Aperte di cui trattiamo diffusamente su questo numero. Aspettando gli sviluppi dell’Area di Crisi Complessa, non meno marginale, come dettagliato più avanti dal nostro direttore, aver notato che i livelli occupazionali vadesi abbiano raggiunto i numeri pre crisi dello scorso decennio. Certo, in un’associazione molto coesa, mi sarebbe piaciuto fare di più per promuovere la condivisione attiva al nostro interno. Un progetto che era partito con l’impulso delle sezioni merceologiche. Purtroppo, le continue emergenze hanno permesso una continuità soltanto parziale”.
La pandemia non può definirsi conclusa. Senza dubbio, la speranza dei vaccini, seppur con una partenza a rilento, offre una prospettiva differente. È già tempo di bilanci?
“Se non ne usciamo in fretta, molte imprese faticheranno a venirne fuori e non riusciranno in questo grande sacrificio. Ecco, il dato di fatto dopo oltre un anno dall’avvio delle limitazioni sanitarie. Il riferimento va, soprattutto, al comparto turistico che per il nostro territorio risulta fondamentale. Parlando d’industria, genericamente, possiamo affermare che il comparto abbia retto attestandosi su cali intorno al 10% del fatturato. Tutto va contestualizzato, cifre pessime se ipotizzate a gennaio 2020, ma sicuramente accettabili se immaginate tre mesi più tardi. Senza esitazione, affermo che questo Paese non avrebbe potuto reggere un secondo lockdown”.
Al termine di un anno orribile, c’è una lezione da imparare per chi fa impresa?
“Mi limito alla dimensione locale. Ritengo che sia il momento di un’accelerazione decisa sulla cultura industriale. L’avvento delle energie verdi non può più attendere, il territorio savonese sta fornendo un proprio contributo e non da oggi. Il futuro riguarderà, sempre più, una stretta interconnessione con l’Università”.
Tra i temi sul tavolo del prossimo consiglio direttivo anche il rapporto con Genova. Quale la sua visione maturata nel quadriennio?
“La prospettiva di ragionamento più ampia, in questo mondo velocizzato, risulta fondamentale. Il fuoco principale deve essere la Liguria. Esperimento come la partecipazione ad Ambrosetti 2030 ne segnano un esempio. Tuttavia, anche qui, serve una visione differente. Potrà essere l’occasione per dare gambe al contenitore di Confindustria Liguria troppo spesso apparso come vuoto. Giudicando positive le collaborazioni realizzate nel corso degli anni, sulle modalità, ci confronteremo senza perdere di vista quello che è il nostro valore aggiunto evidenziato all’inizio di questa chiacchierata. Non siamo un’azienda, ma un’associazione e, pertanto, parametro essenziale o prevalente non saranno gli aspetti numerici. Aspetto rilevante, qualsiasi decisione potrà essere presa in autonomia e serenità in base alle convenienze e prospettive del tessuto produttivo savonese che, oggi, può prendere una decisione senza alcuna influenza esterna”.